domenica 10 novembre 2013

Rieccomi qua!

Ecco, l'ho rifatto un'altra volta. Dopotutto che la costanza non sia il mio forte, questo penso l'abbiate notato tutti :)
Scrivo dopo mesi di latitanza. Ci avrei scommesso, dopotutto mi conosco troppo bene.
Che dire, che è successo in questi mesi? Ebbene, ho terminato gli esami, iniziato lo stage presso l'ufficio stampa della mia università, contattato il relatore, iniziato a cercare i libri per la tesi (che, guardate un po', sarà incentrata sulle serie tv!) e ora sono alle prese con questi ultimi. Leggo, salto paragrafi, evidenzio le parti interessanti, mi esalto quando si parla di qualche serie che ho amato e compagnia bella, per dirla alla Holden.
In più, mi ritaglio un po' di spazio per me, forse anche troppo. Ovviamente continuo a guardare UN SACCO di telefilm, ogni tanto ne abbandono qualcuno che ormai m'annoia, ne inizio qualcun altro (The Newsroom, ad esempio. La sceneggiatura e i dialoghi di questa serie sono assolutamente brillanti, serrati, spiazzanti..in una settimana ho recuperato le due stagioni e ora aspetto con trepidazione che la terza inizi), salto da un mondo all'altro e ogni tanto non nego che sento il bisogno di staccare un attimo la spina per riprendere le redini di tutte le storie che seguo!
E poi leggo. Perchè ancor prima delle serie televisive ci son stati i libri per me. Son loro che mi hanno fatto viaggiare per mondi sconosciuti, reali o fantastici fin dall'infanzia. Solo che per un po' non son stata in grado di capire che cosa facesse per me. Stufa dei classici, il fascino della chick list aveva fatto il suo corso (anche se calza a pennello in quei momenti in cui non vuoi niente di impegnativo per la testa), cercavo qualcosa "alla Medina Reyes" ma non la trovavo. E così sono approdata prima nel mondo di ZeroCalcare e delle sue strisce, poi ho provato a ributtarmi su qualcosa di romantico, senza successo, ed ora sono giunta ad una lettura che suppongo fosse inevitabile, dal momento che la mia tesi parlerà di Game of Thrones: Le cronache del ghiaccio e del fuoco di George R.R. Martin. Sto per finire il primo libro. Era da tanto che non trovavo un libro capace di tenermi alzata fino a tardi la notte, incurante della inesorabile sveglia mattutina. Passo la mattina in ufficio e non vedo l'ora di tornare a casa e leggere. Quanto mi mancava questa febbrile eccitazione! 
Dunque io vado, chè il mio libro m'aspetta! :)
Vorrei dire che ci sentiremo presto qua, ma vedendo com'è andata le scorse volte non me la sento di fare promesse :P
A (chissà?) presto!

giovedì 9 maggio 2013

The Killers - Read My Mind

Oh well I don't mind, you don't mind
Cause I don't shine if you don't shine
Before you go, can you read my mind?


Mi sono addormentata con questa canzone in testa, la stessa che mi ha dato il buongiorno stamattina.  Vorrei proprio che qualcuno mi leggesse la mente ;)
Buona giornata :)

lunedì 29 aprile 2013

La solitudine dei numeri primi

Rieccomi! Questo blog ha minacciato di implodere data la mia scarsa costanza.
Tante cose son successe dall'ultimo post, in cui mi trovavo nel bel mezzo dell'ennesima sessione esami. Si è fortunatamente conclusa con successo, dopodichè ho voluto festeggiare a modo mio, recuperando telefilm e libri in sospeso (che novità!).
L'ultimo libro letto è stato "La solitudine dei numeri primi" di Paolo Giordano. Sotto consiglio di una mia amica, che profeticamente mi disse che l'avrei divorato e amato. Così è stato. E son contenta, perchè era da tanto che non trovavo un libro di quelli che ti coinvolgono totalmente, quei libri che continui a leggere, pagina dopo pagina, finchè non arrivi alla fine.  L'ho iniziato un venerdì mattina in aeroporto, in attesa del volo che mi riportasse a casa per la laurea della mia migliore amica, e il sabato successivo era già un ricordo. 
E' stata una lettura piacevolissima, una storia avvolgente, dei personaggi turbati a cui non puoi non affezionarti e, per certi tratti, rispecchiarti. La fine non scontata lascia un po' di amaro in bocca, ma per questo è così reale, così vero. E c'è una parte del libro che mi ha lasciata estasiata e al tempo stesso un po' sconfortata. L'idea che ci siano persone che come i numeri primi sono destinati ad essere vicini ma non così tanto da potersi liberamente amare, ecco questo mi ha fatto riflettere e versare qualche lacrima, ma solo qualcuna, chè dalle lacrime almeno per ora ho deciso di prendermi una pausa ;) 
Cosa chiedere di più ad un libro? :)

I numeri primi sono divisibili soltanto per 1 e per se stessi. Se ne stanno al loro posto nell’infinita serie dei numeri naturali, schiacciati come tutti fra due, ma un passo in là rispetto agli altri. Sono numeri sospettosi e solitari e per questo Mattia li trovava meravigliosi. Certe volte pensava che in quella sequenza ci fossero finiti per sbaglio, che vi fossero rimasti intrappolati come perline infilate in una collana. Altre volte, invece, sospettava che anche a loro sarebbe piaciuto essere come tutti, solo dei numeri qualunque, ma che per qualche motivo non ne fossero capaci. In un corso del primo anno Mattia aveva studiato che tra i numeri primi ce ne sono alcuni ancora più speciali. I matematici li chiamano primi gemelli: sono coppie di numeri primi che se ne stanno vicini, anzi, quasi vicini, perché fra di loro vi è sempre un numero pari che gli impedisce di toccarsi per davvero. Numeri come l’11 e il 13, come il 17 e il 19, il 41 e il 43. Se si ha la pazienza di andare avanti a contare, si scopre che queste coppie via via si diradano. Ci si imbatte in numeri primi sempre più isolati, smarriti in quello spazio silenzioso e cadenzato fatto solo di cifre e si avverte il presentimento angosciante che le coppie incontrate fino a lì fossero un fatto accidentale, che il vero destino sia quello di rimanere soli. Poi, proprio quando ci si sta per arrendere, quando non si ha più voglia di contare, ecco che ci si imbatte in altri due gemelli, avvinghiati stretti l’uno all’altro. Tra i matematici è convinzione comune che per quanto si possa andare avanti, ve ne saranno sempre altri due, anche se nessuno può dire dove, finché non li si scopre.
Mattia pensava che lui e Alice erano così, due primi gemelli, soli e perduti, vicini ma non abbastanza per sfiorarsi davvero. A lei non l’aveva mai detto.
” 


lunedì 4 febbraio 2013

Ah, il lunedì

Sveglia ore 7, posticipata alle 7.30. Preparo il thè al limone, che però mi lascia uno strano retrogusto in bocca. Lo lascio. Inizio a studiare, resisto fino alle 10 e poi sono già in pausa, gli occhi mi si chiudono, mi serve la caffeina. E' da un paio di giorni che non lo prendo, il caffè. Solitamente ho le mie fidate bustine di ginseng da diluire con l'acqua, mie amiche, semplici da fare e ottime da assaporare. Ma le ho finite e quindi niente ginseng. L'altro giorno ho provato a fare il caffè dopo tanto tempo, ma è uscito una schifezza. Cioè proprio non è uscito, e dalla caffettiera proveniva uno strano odore di bruciato. *Ottimo, Laura*
Così per un paio di giorni son riuscita a trascinarmi, senza ginseng e senza caffè, chè l'idea di ribere una schifezza non m'allettava più di tanto.
Ma oggi è lunedì, oggi è il giorno dopo quello terminato con l'ingerimento di più o meno un litro di Coca Cola che mi ha tenuto sveglia per ore contro la mia volontà, oggi è un giorno più vicino agli esami rispetto agli altri giorni (eh già), oggi sento la stanchezza del weekend (che poi, diciamocelo, son state serate parecchio tranquille, quindi non capisco), oggi mi serve un aiuto. E allora ho fatto un altro tentativo, preparato la macchinetta e, ringraziando Sauron, son riuscita a fare un caffè decente. Che poi a me il caffè nemmeno piace (a meno che non parliamo di quelle robe con la panna montata e altre millemila cosette buone sopra che di fatto eliminano il sapore del caffè), però ci sono quei momenti e periodi particolari in cui riconosco che è una manna dal cielo. E oggi è uno di quei giorni lì.
E "assaporando" quello che, per molti, è il nettare degli dei mentre, per me, è un qualcosa che mi fa fare strane smorfie, mi son messa a pensare, errore grandissimo in cui cado spesso. 
Mi son messa a pensare che le persone che mi stanno intorno stanno definendo pian piano le loro vite, stanno prendendo decisioni importanti, direzioni precise. Io no. Io mi sento "stuck in reverse" come cantano i Coldplay, mi sento come se avessi inserito la retromarcia. Quantomeno sto ferma, e mi sento vuota. Non trovo stimoli e quelli che trovo mi sembra che mi allontanino da ciò che sto facendo e allora s'insinuano i dubbi, sto facendo la cosa giusta? Cosa sto facendo?
Dannato caffè, mi fai male.
Pausa finita, mettiamo fine anche ai brutti pensieri.
E buon inizio settimana :)


Ah, comunque in questi giorni sto in fissa con "Paperman", il corto Disney in lizza per gli Oscar. E' un gioiellino, sei minuti di sola musica e tenerezza, tenero imbarazzo, un aiutino del destino (o della magia?) e tanto aMMMore. Tra l'altro mi ricorda l'inizio di Up, film (non può essere definito semplicemente "cartone", come fanno coloro che ritengono che i film d'animazione  siano film di serie B) che adoro. Quell'inizio tenero e allo stesso tempo straziante, dove c'è solo la musica che ci  accompagna mentre guardiamo procedere la vita di Carl ed Ellie, insieme fino alla fine. Quando le parole non servono.

lunedì 28 gennaio 2013

Stasera lo studio non esiste

Stasera un po' di meritato riposo. Di pomeriggio mi son liberata di un altro esame e per festeggiare son passata alla Feltrinelli, chè ogni scusa è buona per farci un salto ;)
Perciò il programma delle prossime ore prevede: lettura, film, relax e ozio più totale. E da domani, di nuovo sotto ai libri!


domenica 27 gennaio 2013

Giornata della Memoria

"Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere quest'offesa, la demolizione di un uomo. In un attimo, con intuizione quasi profetica, la realtà ci si è rivelata: siamo arrivati in fondo. Più già di così non si può andare: condizione umana più misera non c'è, e non è pensabile. Nulla è più nostro: ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se parleremo, non ci ascolteranno, e se ci ascoltassero, non ci capirebbero. Ci toglieranno anche il nome: e se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, di fare sì che dietro al nome, qualcosa ancora di noi, di noi quali eravamo, rimanga. " P. Levi
Oggi, 27 gennaio 2013, la Giornata della Memoria in ricordo delle vittime della Shoah. Istituita tredici anni fa e da tredici anni la gente continua a ribattere che al mondo ci sono stati altri genocidi, tante altre vittime che non possono essere dimenticate. D'accordo, ricordiamole tutte. Ma non sprechiamo parole inutili andando contro chi vuole ricordare questo genocidio in particolare. Usiamo le parole per ricordare le vittime della Shoah e le vittime di qualsiasi sterminio attuato in passato o attualmente in corso. 
Qualche anno fa sono stata in Polonia, doveva essere un viaggio di piacere e lo è stato. Ma in quei 4 giorni passati a Cracovia mi son sentita in dovere di andare a visitare il campo di Auschwitz. Non per vantarmene coi miei amici al ritorno, ma perchè lo sentivo come un obbligo. Per me i viaggi non rappresentano esclusivamente un motivo di svago, ma anche delle occasioni per conoscere. Conoscere persone, stili di vita, costumi, tradizioni, memorie. Andare in Polonia, stare a Cracovia e fingere che il campo non fosse vicino, usarla come scusa per non fare quella visita. No, non potevo. Sui libri di storia si può solo immaginare cosa abbia rappresentato realmente la Shoah per gli ebrei, gli omosessuali, i disabili e tutti coloro che ingiustamente furono deportati e uccisi. Ad Auschwitz come negli altri campi. E' stata una giornata straziante, trascorsa ascoltando la guida, una ragazza in dolce attesa che spiegava con cura e passione come il villaggio di Oswiecin venne trasformato in campo di concentramento, dove arrivava la gente ignara di quanto sarebbe accaduto di lì a poco. La guida parlava serenamente, ma sul suo viso si leggeva il peso della memoria, erano visibili le tracce del dolore che il ricordo della sua gente le provocava. All'inizio della visita riusciva anche a strapparci qualche sorriso, parlando ogni tanto di lei. C'è stato un momento in cui il sorriso però non poteva più apparire. E' stato quando ci ha portati dentro delle stanze in cui vi erano gli oggetti personali delle vittime. Sui corridoi, appesi alle pareti le foto di alcuni di loro. Donne, uomini, bambini, foto in bianco e nero, col codice identificativo. E poi è stato sempre peggio: migliaia di valigie ammassate, le valigie che le persone avevano portato con sè, che riportavano all'esterno i loro nomi, la città d'origine. Poi vi erano le montature degli occhiali, tantissime, a dare l'idea dell'inifinità di gente che giunse solo ad Auschwitz. Poi fu il tempo dei capelli. E infine dei vestiti dei neonati. E' stato più o meno verso l'ora di pranzo. Il silenzio è calato e solo verso sera son riuscita a trovare la forza per parlare nuovamente. E' stata un'esperienza molto forte, per ciò che ho visto, che ho provato.
Molti mi hanno chiesto se ne sia valsa la pena, se andare là non abbia in qualche modo pregiudicato il viaggio. No, non l'ha fatto. Non è stato piacevole, ma in cuor mio sentivo che andava fatto. 
E così oggi ricordo. Ricordo le vittime della Shoah, senza dar loro più importanza di quanto meritino tutte le altre vittime, solo la giusta importanza. Senza creare gerarchie. Ricordo e basta, perchè non posso e voglio far finta che non sia successo. 

sabato 26 gennaio 2013

Il tempismo non mi è amico

Accidenti, quanto può essere difficile dire addio a qualcuno.
Gli addii dovrebbero essere dolorosi.  Vedere per l'ultima volta una persona e litigarci malamente, dicendo le cose peggiori, anche quelle che in realtà non vorremmo dire. Perchè suvvia, se siamo furiosi, arrabbiati, amareggiati iniziamo come un fiume in piena ad esporre tutto ciò che non ci è mai andato a genio di quella persona. Chè, tanto, non la rivedremo più. Sì, probabilmente dopo la tristezza, il dolore, le sofferenze iniziali, dirsi addio in malo modo è la cosa più giusta.
Io non sono brava a dire addio, non l'ho mai fatto. Non l'ho fatto non per codardia, semplicemente perchè non ho mai dovuto o voluto abbandonare qualcuno. Altre persone, che per un certo periodo della mia vita hanno fatto parte di me, ho smesso di vederle, di sentirle. Ma questo l'ho potuto sapere solo a posteriori. Non sapevo che non le avrei riviste o sentite più. Altrimenti le avrei salutate, sì. Come i vecchi compagni di liceo, che fino a qualche mese dopo la fine del liceo continui a sentire con costanza, poi le vite prendono direzioni diverse, si conoscono nuove persone, piano piano ci si allontana senza accorgersene fino in fondo per un bel po', quando spesso ormai è troppo tardi. Certo, non succede con tutti. Però succede. Forse è inevitabile, o forse semplicemente arriva un punto in cui smetti di voler provare a mantenere i contatti. E allora capisci che queste persone non fanno più parte della tua vita, un po' forse te ne dispiace, ma poi vai avanti, certo che sì.
Ecco, non essendo pratica di addii, questa settimana son stata messa alla prova, e devo dire che a mio modesto parere credo siano decisamente meglio gli addii in cui si litiga e ci si prende per i capelli. Dire addio ad una persona importante, che parte perchè non può più restare, che parte ma che vorrebbe star qua con gli amici, con me. Il nostro è stato un addio dolce, e forse per questo con un retrogusto tanto amaro. Perchè questo amico è uno dei pochi che mi fa ridere di gusto, che amo stare ad ascoltare per ore, chè io parlo poco e lui invece troppo e allora ci compensiamo. E abbiamo litigato, e non ci siamo più sentiti per mesi. E poi ci siamo ritrovati, quando lui inevitabilmente aveva già preso la sua decisione. Le cose sarebbero andate diversamente se avessimo continuato a sentirci in questi mesi? Può darsi di sì, può darsi di no. Fatto sta che fa male da morire sapere che in queste ore sta infilando la sua roba negli scatoloni  per poi partire, domani, lontano. Ci rivedremo? Può darsi di sì. Non è una tragedia. Però sento di aver bisogno di lui ora più che mai e mi rendo conto che il tempo che ci ha tenuti lontano ora è svanito e che al suo posto però si è aperta una voragine. E non so se ho voglia e il coraggio necessario per affacciarmici, ora. Magari aspetterò per un po' e guarderò la voragine da lontano, fin quando non prenderò la forza necessaria a buttarmici senza pensarci.

"Gli addii devono essere urlati, agitati, rabbiosi, furiosi. Con porte sbattute in faccia. Con telefoni muti. Con nessun augurio di compleanno. Con nessun sms che ti chiede come stai. Con nessuna foto in fondo ad un cassetto. Con nessuna forma di contatto mentale e fisico. Altrimenti si chiama "arrivederci". Ed è un'altra storia."