domenica 27 gennaio 2013

Giornata della Memoria

"Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere quest'offesa, la demolizione di un uomo. In un attimo, con intuizione quasi profetica, la realtà ci si è rivelata: siamo arrivati in fondo. Più già di così non si può andare: condizione umana più misera non c'è, e non è pensabile. Nulla è più nostro: ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se parleremo, non ci ascolteranno, e se ci ascoltassero, non ci capirebbero. Ci toglieranno anche il nome: e se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, di fare sì che dietro al nome, qualcosa ancora di noi, di noi quali eravamo, rimanga. " P. Levi
Oggi, 27 gennaio 2013, la Giornata della Memoria in ricordo delle vittime della Shoah. Istituita tredici anni fa e da tredici anni la gente continua a ribattere che al mondo ci sono stati altri genocidi, tante altre vittime che non possono essere dimenticate. D'accordo, ricordiamole tutte. Ma non sprechiamo parole inutili andando contro chi vuole ricordare questo genocidio in particolare. Usiamo le parole per ricordare le vittime della Shoah e le vittime di qualsiasi sterminio attuato in passato o attualmente in corso. 
Qualche anno fa sono stata in Polonia, doveva essere un viaggio di piacere e lo è stato. Ma in quei 4 giorni passati a Cracovia mi son sentita in dovere di andare a visitare il campo di Auschwitz. Non per vantarmene coi miei amici al ritorno, ma perchè lo sentivo come un obbligo. Per me i viaggi non rappresentano esclusivamente un motivo di svago, ma anche delle occasioni per conoscere. Conoscere persone, stili di vita, costumi, tradizioni, memorie. Andare in Polonia, stare a Cracovia e fingere che il campo non fosse vicino, usarla come scusa per non fare quella visita. No, non potevo. Sui libri di storia si può solo immaginare cosa abbia rappresentato realmente la Shoah per gli ebrei, gli omosessuali, i disabili e tutti coloro che ingiustamente furono deportati e uccisi. Ad Auschwitz come negli altri campi. E' stata una giornata straziante, trascorsa ascoltando la guida, una ragazza in dolce attesa che spiegava con cura e passione come il villaggio di Oswiecin venne trasformato in campo di concentramento, dove arrivava la gente ignara di quanto sarebbe accaduto di lì a poco. La guida parlava serenamente, ma sul suo viso si leggeva il peso della memoria, erano visibili le tracce del dolore che il ricordo della sua gente le provocava. All'inizio della visita riusciva anche a strapparci qualche sorriso, parlando ogni tanto di lei. C'è stato un momento in cui il sorriso però non poteva più apparire. E' stato quando ci ha portati dentro delle stanze in cui vi erano gli oggetti personali delle vittime. Sui corridoi, appesi alle pareti le foto di alcuni di loro. Donne, uomini, bambini, foto in bianco e nero, col codice identificativo. E poi è stato sempre peggio: migliaia di valigie ammassate, le valigie che le persone avevano portato con sè, che riportavano all'esterno i loro nomi, la città d'origine. Poi vi erano le montature degli occhiali, tantissime, a dare l'idea dell'inifinità di gente che giunse solo ad Auschwitz. Poi fu il tempo dei capelli. E infine dei vestiti dei neonati. E' stato più o meno verso l'ora di pranzo. Il silenzio è calato e solo verso sera son riuscita a trovare la forza per parlare nuovamente. E' stata un'esperienza molto forte, per ciò che ho visto, che ho provato.
Molti mi hanno chiesto se ne sia valsa la pena, se andare là non abbia in qualche modo pregiudicato il viaggio. No, non l'ha fatto. Non è stato piacevole, ma in cuor mio sentivo che andava fatto. 
E così oggi ricordo. Ricordo le vittime della Shoah, senza dar loro più importanza di quanto meritino tutte le altre vittime, solo la giusta importanza. Senza creare gerarchie. Ricordo e basta, perchè non posso e voglio far finta che non sia successo. 

2 commenti:

  1. Cara, hai fatto non bene, ma benissimo. Nulla dà più senso a un viaggio, sia pure di piacere, quanto entrare nella realtà della Vita e della Storia. La Shoah purtroppo è Vita (paradossalmente) e Storia più di qualsiasi altra cosa, e NON SI PUO'passare nei pressi di Aushwitz senza passare dai campi. Sarebbe immorale per qualunque cittadino europeo, di qualunque età.

    Io sono stata per diversi periodi a Monaco, e una delle prime cose che ho fatto, arrivandoci, fu di attraversare il cancello di Dachau.

    Ti dirò ciò che mi ha più impressionato di quella visita: la incredibile, linda, geometrica simmetria del campo, con le sue baracche disposte in perfetto ordine, come il giardino di un Castello. E pensare che in quella geometria perfetta aveva avuto teatro l'orrore più grande prodotto dalla cultura occidentale, nel cuore della sua essenza (la stessa Germania di Goethe e Bach santoiddio!).

    Grazie per il tuo intervento, tanto più bello e incoraggiante in quanto so che sei molto giovane...

    Marianna

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  2. Ti ringrazio, Marianna! Mi fa piacere ti sia piaciuto. I racconti di quanto successo in quei campi sono già di loro molto forti, ma imbattersi fisicamente in quei luoghi rende impossibile dimenticare e far finta di nulla.
    Un abbraccio,
    Laura

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