lunedì 28 gennaio 2013

Stasera lo studio non esiste

Stasera un po' di meritato riposo. Di pomeriggio mi son liberata di un altro esame e per festeggiare son passata alla Feltrinelli, chè ogni scusa è buona per farci un salto ;)
Perciò il programma delle prossime ore prevede: lettura, film, relax e ozio più totale. E da domani, di nuovo sotto ai libri!


domenica 27 gennaio 2013

Giornata della Memoria

"Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere quest'offesa, la demolizione di un uomo. In un attimo, con intuizione quasi profetica, la realtà ci si è rivelata: siamo arrivati in fondo. Più già di così non si può andare: condizione umana più misera non c'è, e non è pensabile. Nulla è più nostro: ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se parleremo, non ci ascolteranno, e se ci ascoltassero, non ci capirebbero. Ci toglieranno anche il nome: e se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, di fare sì che dietro al nome, qualcosa ancora di noi, di noi quali eravamo, rimanga. " P. Levi
Oggi, 27 gennaio 2013, la Giornata della Memoria in ricordo delle vittime della Shoah. Istituita tredici anni fa e da tredici anni la gente continua a ribattere che al mondo ci sono stati altri genocidi, tante altre vittime che non possono essere dimenticate. D'accordo, ricordiamole tutte. Ma non sprechiamo parole inutili andando contro chi vuole ricordare questo genocidio in particolare. Usiamo le parole per ricordare le vittime della Shoah e le vittime di qualsiasi sterminio attuato in passato o attualmente in corso. 
Qualche anno fa sono stata in Polonia, doveva essere un viaggio di piacere e lo è stato. Ma in quei 4 giorni passati a Cracovia mi son sentita in dovere di andare a visitare il campo di Auschwitz. Non per vantarmene coi miei amici al ritorno, ma perchè lo sentivo come un obbligo. Per me i viaggi non rappresentano esclusivamente un motivo di svago, ma anche delle occasioni per conoscere. Conoscere persone, stili di vita, costumi, tradizioni, memorie. Andare in Polonia, stare a Cracovia e fingere che il campo non fosse vicino, usarla come scusa per non fare quella visita. No, non potevo. Sui libri di storia si può solo immaginare cosa abbia rappresentato realmente la Shoah per gli ebrei, gli omosessuali, i disabili e tutti coloro che ingiustamente furono deportati e uccisi. Ad Auschwitz come negli altri campi. E' stata una giornata straziante, trascorsa ascoltando la guida, una ragazza in dolce attesa che spiegava con cura e passione come il villaggio di Oswiecin venne trasformato in campo di concentramento, dove arrivava la gente ignara di quanto sarebbe accaduto di lì a poco. La guida parlava serenamente, ma sul suo viso si leggeva il peso della memoria, erano visibili le tracce del dolore che il ricordo della sua gente le provocava. All'inizio della visita riusciva anche a strapparci qualche sorriso, parlando ogni tanto di lei. C'è stato un momento in cui il sorriso però non poteva più apparire. E' stato quando ci ha portati dentro delle stanze in cui vi erano gli oggetti personali delle vittime. Sui corridoi, appesi alle pareti le foto di alcuni di loro. Donne, uomini, bambini, foto in bianco e nero, col codice identificativo. E poi è stato sempre peggio: migliaia di valigie ammassate, le valigie che le persone avevano portato con sè, che riportavano all'esterno i loro nomi, la città d'origine. Poi vi erano le montature degli occhiali, tantissime, a dare l'idea dell'inifinità di gente che giunse solo ad Auschwitz. Poi fu il tempo dei capelli. E infine dei vestiti dei neonati. E' stato più o meno verso l'ora di pranzo. Il silenzio è calato e solo verso sera son riuscita a trovare la forza per parlare nuovamente. E' stata un'esperienza molto forte, per ciò che ho visto, che ho provato.
Molti mi hanno chiesto se ne sia valsa la pena, se andare là non abbia in qualche modo pregiudicato il viaggio. No, non l'ha fatto. Non è stato piacevole, ma in cuor mio sentivo che andava fatto. 
E così oggi ricordo. Ricordo le vittime della Shoah, senza dar loro più importanza di quanto meritino tutte le altre vittime, solo la giusta importanza. Senza creare gerarchie. Ricordo e basta, perchè non posso e voglio far finta che non sia successo. 

sabato 26 gennaio 2013

Il tempismo non mi è amico

Accidenti, quanto può essere difficile dire addio a qualcuno.
Gli addii dovrebbero essere dolorosi.  Vedere per l'ultima volta una persona e litigarci malamente, dicendo le cose peggiori, anche quelle che in realtà non vorremmo dire. Perchè suvvia, se siamo furiosi, arrabbiati, amareggiati iniziamo come un fiume in piena ad esporre tutto ciò che non ci è mai andato a genio di quella persona. Chè, tanto, non la rivedremo più. Sì, probabilmente dopo la tristezza, il dolore, le sofferenze iniziali, dirsi addio in malo modo è la cosa più giusta.
Io non sono brava a dire addio, non l'ho mai fatto. Non l'ho fatto non per codardia, semplicemente perchè non ho mai dovuto o voluto abbandonare qualcuno. Altre persone, che per un certo periodo della mia vita hanno fatto parte di me, ho smesso di vederle, di sentirle. Ma questo l'ho potuto sapere solo a posteriori. Non sapevo che non le avrei riviste o sentite più. Altrimenti le avrei salutate, sì. Come i vecchi compagni di liceo, che fino a qualche mese dopo la fine del liceo continui a sentire con costanza, poi le vite prendono direzioni diverse, si conoscono nuove persone, piano piano ci si allontana senza accorgersene fino in fondo per un bel po', quando spesso ormai è troppo tardi. Certo, non succede con tutti. Però succede. Forse è inevitabile, o forse semplicemente arriva un punto in cui smetti di voler provare a mantenere i contatti. E allora capisci che queste persone non fanno più parte della tua vita, un po' forse te ne dispiace, ma poi vai avanti, certo che sì.
Ecco, non essendo pratica di addii, questa settimana son stata messa alla prova, e devo dire che a mio modesto parere credo siano decisamente meglio gli addii in cui si litiga e ci si prende per i capelli. Dire addio ad una persona importante, che parte perchè non può più restare, che parte ma che vorrebbe star qua con gli amici, con me. Il nostro è stato un addio dolce, e forse per questo con un retrogusto tanto amaro. Perchè questo amico è uno dei pochi che mi fa ridere di gusto, che amo stare ad ascoltare per ore, chè io parlo poco e lui invece troppo e allora ci compensiamo. E abbiamo litigato, e non ci siamo più sentiti per mesi. E poi ci siamo ritrovati, quando lui inevitabilmente aveva già preso la sua decisione. Le cose sarebbero andate diversamente se avessimo continuato a sentirci in questi mesi? Può darsi di sì, può darsi di no. Fatto sta che fa male da morire sapere che in queste ore sta infilando la sua roba negli scatoloni  per poi partire, domani, lontano. Ci rivedremo? Può darsi di sì. Non è una tragedia. Però sento di aver bisogno di lui ora più che mai e mi rendo conto che il tempo che ci ha tenuti lontano ora è svanito e che al suo posto però si è aperta una voragine. E non so se ho voglia e il coraggio necessario per affacciarmici, ora. Magari aspetterò per un po' e guarderò la voragine da lontano, fin quando non prenderò la forza necessaria a buttarmici senza pensarci.

"Gli addii devono essere urlati, agitati, rabbiosi, furiosi. Con porte sbattute in faccia. Con telefoni muti. Con nessun augurio di compleanno. Con nessun sms che ti chiede come stai. Con nessuna foto in fondo ad un cassetto. Con nessuna forma di contatto mentale e fisico. Altrimenti si chiama "arrivederci". Ed è un'altra storia."