"La verità è che vissi molti dei miei primi anni, e forse dei miei secondi e dei miei terzi, come una specie di sordomuto.
Ritualmente vestito di nero sin dalla prima adolescenza, come si vestivano i veri poeti del secolo scorso, avevo la vaga impressione di non essere poi tanto male d’aspetto. Ma, invece di avvicinarmi alle ragazze, sapendo che mi sarei messo a balbettare o sarei arrossito davanti a loro, preferivo scantonare quando le vedevo e allontanarmi mostrando un disinteresse che ero ben lungi dal provare. Erano tutte un gran mistero per me. Io avrei voluto morire bruciato in quel rogo segreto, affogare in quel pozzo di enigmatica profondità, ma non avevo il coraggio di gettarmi nel fuoco o nell’acqua. E siccome non incontravo nessuno che mi desse uno spintone, passavo sull’orlo del loro fascino, senza neppure guardare, e tantomeno sorridere. La timidezza è una condizione strana dell’anima, una categoria, una dimensione che si apre verso la solitudine. E’ anche una sofferenza inseparabile, come se si avessero due epidermidi, e la seconda pelle interiore s’irritasse e contraesse di fronte alla vita. Fra le compagini umane, questa qualità o questo difetto fa parte di un insieme che costituisce nel tempo l’immortalità dell’essere."
— P. Neruda

E poi un giorno, dopo tanto tempo, qualcuno riesce a scalfire anche solo uno di quegli strati di epidermide, che in fondo era una tua protezione contro il mondo. Butta giù quel muro che avevi costruito e ogni tua difesa crolla. E tu resti inerme davanti tutto e tutti. Ora sei sola, con quei mattoni da rimetter su. E ti riprometti che mai e poi mai permetterai a qualcuno di abbattere il tuo muro con così tanta facilità.